“Da una sola parte, dalla parte dei lavoratori” – Giacomo Brodolini

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“Da una sola parte, dalla parte dei lavoratori” – Giacomo Brodolini

SANITÀ E WELFARE COMPLEMENTARE: L’ESPERIENZA NEL SETTORE DEL CREDITO

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SANITÀ E WELFARE COMPLEMENTARE: L’ESPERIENZA NEL SETTORE DEL CREDITO

Il welfare aziendale oggi integra risorse, prestazioni e servizi che il welfare state pubblico non sempre riesce ad assicurare. Si tratta di un fenomeno socialmente rilevante? Qual è la sua importanza per il sistema paese? Alle storie ormai conosciute delle grandi imprese si affiancano sempre più spesso soluzioni nuove: le parti sociali, i territori, gli attori locali e le istituzioni elaborano e diffondono strategie bottom-up – sviluppate sulla base dell’esperienza quotidiana e a partire dalla specificità dei bisogni locali – che si rivelano non solo efficaci ma anche altamente innovative. Un fenomeno nato come prettamente «aziendale» si arricchisce così di nuovi protagonisti, e acquisisce un ventaglio di competenze e strumenti in grado di ampliarne la portata originaria. Proprio per questo il welfare aziendale costituisce un tassello del secondo welfare. Questo il tema della tavola rotonda a cui ha partecipato ieri il Segretario Generale della Uilca Massimo Masi durante il Welfare Day che si è tenuto a Roma.

Masi si è concentrato sul coinvolgimento «attivo» dello Stato nella diffusione del welfare aziendale, rappresentato dalla Cassa di Assistenza Sanitaria per il Personale Dipendente del Settore del Credito (Casdic), una “Cassa di categoria”, regolata da un accordo nazionale sindacale, sottoscritto dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e dalle Organizzazioni Sindacali del settore del credito.

“Il principale scopo della Casdic è quello di fornire agli aventi diritto l’assistenza per le loro esigenze sanitarie, assicurando agli stessi, senza fine di lucro, un concorso alle spese sostenute per fruire di prestazioni sanitarie integrative e/o sostitutive di quelle del S.S.N. La Casdic, inoltre, con il rinnovo contrattuale del 2007, dal 1° gennaio 2008, assiste economicamente i dipendenti del settore colpiti da malattie invalidanti che comportino uno stato di non autosufficienza (Long Term Care).”

La Casdic, inoltre, operando con una gestione autonoma e separata ed in ottemperanza alle norme stabilite nella Sezione speciale dello Statuto, ha lo scopo di fornire assistenza agli aventi diritto, che siano colpiti da eventi imprevisti ed invalidanti tali da comportare uno stato di non autosufficienza dell’individuo. Detta attività viene svolta dalla Casdic in ottemperanza a quanto stabilito in tema di long term care dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro del settore del credito e loro future ed eventuali integrazioni e modifiche.

La Casdic, sempre senza alcuna finalità di lucro e sempre con finalità esclusivamente assistenziale, si prefigge anche lo scopo di fornire alle Aziende, Casse e Fondi, iscritti alla Casdic ai sensi degli artt. 6 e 19 dello Statuto, anche mediante la stipula di contratti con Enti, Società o Istituti Assicurativi, polizze assicurative collettive per i propri dipendenti in servizio e non, a copertura di altri rischi.

“In aggiunta al ruolo dello Stato, il coinvolgimento delle parti sociali è cruciale per la diffusione di una nuova idea di welfare e servizi alla famiglia come legittima integrazione del salario, specialmente in questo momento di grave crisi finanziaria.- ha affermato Masi. “L’intervento dei Sindacati dei Lavoratori conferisce legittimità al sistema, ed è garanzia di continuità rispetto a quelle che erano, nella tradizione industriale italiana, politiche aziendali concepite come «dono» di stampo paternalistico”.

Pratiche che in passato erano riconducibili alla volontà della proprietà di fidelizzare i dipendenti, spesso nel tentativo di «ammansire» le maestranze più combattive di fronte a processi di riorganizzazione del lavoro, sono entrate oggi a pieno diritto nella contrattazione collettiva e aziendale. Tra le diverse formule adottate, la crisi ha favorito lo sviluppo di soluzioni parzialmente «autofinanziate», che coinvolgono cioè i dipendenti in prima persona per il raggiungimento di livelli di produttività cui sono a loro volta associati bonus «in welfare» (convenzioni e voucher per prestazioni mediche e socio-sanitarie di assistenza a minori, anziani e disabili, sostegno al reddito familiare sotto forma di polizze assicurative e rimborsi scolastici).

La conversione del premio di risultato in beni e servizi prevede, da un lato, il coinvolgimento attivo dei lavoratori nel raggiungimento di determinati obiettivi aziendali, dall’altro sfrutta le agevolazioni disposte dalla normativa fiscale. Il tentativo di creare un «circolo virtuoso» tra produttività e welfare è naturalmente legato alle drammatiche conseguenze della crisi finanziaria sulle aziende. Se in tempo di crescita economica può sembrare ragionevole discutere della «responsabilità sociale» delle imprese, di «investimento» sul benessere del personale, la richiesta di «dare di più» a chi ha già un impiego può sembrare oggi non prioritaria, se non addirittura puramente retorica, specialmente a fronte della condizione delle stesse imprese. Il welfare aziendale non è però certo una «gratuità», ma è da concepirsi – sia dalla parte sindacale sia da quella datoriale – come un nuovo strumento per favorire la ripresa attraverso il coinvolgimento delle persone. Il welfare come strategia di motivazione del personale e di miglioramento del clima aziendale porta risultati – a detta delle numerose imprese che già lo hanno introdotto – in termini di ridotto assenteismo e maggiore produttività, nonché, appunto, un generale beneficio per le relazioni interne.

Chiudono il «cerchio» degli attori del secondo welfare coinvolti nella diffusione di servizi alle imprese i soggetti for profit, quali società di consulenza e providers di servizi che hanno recentemente fatto del welfare aziendale il proprio core business. Pur trattandosi di compagnie private che vendono il proprio prodotto sul mercato, esse contribuiscono allo sviluppo del welfare aziendale attraverso l’«infrastrutturazione» locale. Promuovono cioè la crescita del mercato lavorando su due fronti: da un lato, diffondono le pratiche e sensibilizzano i datori di lavoro circa i benefici sociali ed economici legati all’introduzione dei servizi nelle aziende, dall’altro aggregano l’offerta sul territorio.

L’esempio di UBI Banca – Banca Popolare di Bergamo è paradigmatico di cosa le Banche possono fare nel sistema welfare e sanità.

Il Gruppo UBI – che conta 19.757 dipendenti e una concentrazione importante delle proprie attività in Lombardia – è un’unione federale di banche territoriali controllate da una società Capogruppo. Il modello federale garantisce alle controllate un certo grado di autonomia gestionale, nonché il mantenimento dei legami storici con il territorio che si riflettono sia sulla gestione del personale sia sull’offerta dei benefits introdotti attraverso la contrattazione di secondo livello.

All’interno della Banca Popolare esistono diversi sistemi di welfare aziendale che offrono al personale servizi, prestazioni e risorse in base alla «banca di provenienza», assicurando il mantenimento dei trattamenti in essere prima della costituzione della nuova realtà di gruppo. Le principali garanzie riguardano le polizze assicurative per la copertura di infortuni professionali ed extra-professionali, i fondi di previdenza complementare differenziati per «banca di provenienza», i fondi/casse di assistenza sanitaria, i servizi di consulenza e assistenza psicologica per situazioni di disagio personale/familiare offerti su iniziativa del management a tutti i dipendenti del Gruppo.

I 3.761 dipendenti della Banca Popolare di Bergamo godono di un ampio sistema di welfare – risultato sia delle buone relazioni sindacali che dello spirito paternalistico proprio della gestione tradizionale dell’istituto – in cui prevalgono però le logiche negoziali. Tra i servizi dedicati ai giovani, troviamo una «corsia preferenziale» per la stabilizzazione del rapporto di lavoro che è regolamentata da accordi sindacali, i quali definiscono i bacini occupazionali dai quali la banca si impegna a selezionare il personale per le future assunzioni. L’assunzione è infatti la «porta d’ingresso» per poter godere della maggior parte dei benefits, come il riconoscimento nell’anzianità di servizio dei periodi di collaborazione con contratto a termine, il versamento (a carico del datore di lavoro) di un contributo per la previdenza complementare pari al 6 per cento per i primi cinque anni, il rimborso delle spese notarili per l’acquisto della prima casa.

La polizza sanitaria – finanziata per l’80 per cento dall’azienda – è estesa anche a familiari e conviventi. Tale copertura sanitaria include spese odontoiatriche, visite specialistiche, esami e il rimborso in caso di grandi interventi. Tutti i dipendenti sono anche titolari di polizza vita e infortuni. Ci sono, inoltre, i contributi economici una tantum per la nascita dei figli, i permessi retribuiti, l’asilo nido aziendale «Montessori». Anche l’attenzione alla disabilità è elevata: ai lavoratori dipendenti con invalidità superiore al 70 per cento l’azienda integra di un punto percentuale il versamento al fondo di previdenza complementare, ed eroga 5.000 euro all’anno per l’assistenza di familiari con invalidità certificata superiore al 70 per cento (se figli) o al 75 per cento (se coniuge o genitore). Anche il premio aziendale è «misto»: in denaro, in buoni carburante o come versamento al fondo previdenziale.

Anche Unipol Assicurazioni rappresenta un esempio virtuoso.

Nata nel 1961 per volontà della casa automobilistica Lancia e acquistata nel 1963 da un gruppo di cooperative bolognesi, Unipol Assicurazioni ha compiuto nel 2013 i suoi primi 50 anni. E ha deciso di festeggiarli con la modernizzazione del proprio welfare aziendale.

La dirigenza di Unipol ha promosso, all’interno dell’area Risorse umane, un percorso di ristrutturazione e «istituzionalizzazione» dei numerosi servizi a supporto dei dipendenti introdotti nel corso degli anni e tradizionalmente offerti in maniera informale. Il management ha ritenuto di organizzare il sistema in maniera strutturata, con l’obiettivo non di inserire il welfare in un’ottica di benefit o di integrazione alla remunerazione dei lavoratori, bensì di riordinare l’offerta così da garantirne la migliore fruizione.

Il progetto, sviluppato congiuntamente dalle funzioni organizzative Sostenibilità e Comunicazione interna, è stato disegnato a partire dalle necessità più evidenti, per arrivare però in futuro a coprire anche i bisogni più «personali» e segmentati come, ad esempio, l’assistenza agli anziani a carico. La scelta delle iniziative è partita dallo studio di macro-dati sulla popolazione emiliana, con analisi desk sui trend demografici e sui servizi presenti sul territorio, per continuare con un’analisi quantitativa della popolazione aziendale al fine di individuarne i bisogni in base a età e relative necessità. L’ufficio Risorse umane dichiara di aver privilegiato il «comportamento agìto» rispetto a quello percepito, studiando nel dettaglio le abitudini dei lavoratori (ad esempio, la frequenza di fruizione dei permessi e le relative motivazioni). Il sistema di welfare aziendale può essere quindi distinto in due livelli.

  • Il primo, cosiddetto «storico», riguarda tutte le iniziative collegate al reddito integrativo e di supporto alla persona, ad esempio l’assistenza sanitaria e la cassa di previdenza. Si tratta di benefits considerati ormai «patrimonio consolidato» del rapporto tra impresa e dipendente, esistenti da tempo anche come frutto della contrattazione con i Sindacati. Di anno in anno, in accordo con i sindacati, si aggiungono nuovi istituti o si amplia l’ambito d’intervento di quelli in essere.
  • C’è poi il secondo livello, che attiene al core business aziendale: coperture assicurative e servizi offerti ai dipendenti del Gruppo a condizioni agevolate. Le prestazioni sono infine suddivise in tre «blocchi» di welfare. Il primo è legato al contratto integrativo aziendale del Gruppo Unipol, che disciplina istituti come l’orario di lavoro con flessibilità in entrata e in uscita, la pausa pranzo e il part-time, la previdenza integrativa e assicurativa, le condizioni bancarie, nonché una serie di agevolazioni in termini di permessi e contributi economici di varia natura, come i permessi per l’accudimento dei figli e i permessi e contributi economici per i lavoratori studenti. La seconda area include i servizi «tagliatempo», offerti in azienda ed esterni al contratto integrativo aziendale, attualmente destinati per la quasi totalità alla sede di Bologna. Il terzo blocco di welfare riguarda infine i «nuovi» servizi di convenzionamento ed «extra- azienda». Si tratta di servizi selezionati per i quali il management negozia condizioni agevolate, come quelli alla persona e alla casa. Questo blocco include iniziative nuove e/o di prossima attivazione come le convenzioni con RSA e campi estivi, ma anche per colf e babysitter. A seguito della negoziazione delle condizioni con i fornitori, l’azienda mette a disposizione dei dipendenti un servizio di intranet per la fruizione dei servizi, all’interno della sezione dedicata «Noi Unipol». Il progetto prevede entro il 2013 la conclusione della predisposizione dei servizi in-house, mentre nel 2014 inizieranno i servizi a domicilio.

Il problema senza dubbio più «vicino» e concreto riguarda il rischio di una frammentazione del mercato tra imprese di diversa dimensione, collocazione geografica e settore produttivo. Se gli schemi di natura occupazionale tendono a favorire chi è inserito nel mercato del lavoro e a escludere chi invece non vi partecipa, c’è anche la possibilità che il welfare aziendale si sviluppi a beneficio dei dipendenti di grandi e medie imprese, e non riesca ad arrivare alle piccole realtà imprenditoriali che costituiscono l’ossatura produttiva del nostro paese.

Il mondo imprenditoriale non è però l’unico «propulsore» per lo sviluppo del welfare territoriale: come Sindacato siamo convinti della necessità di trovare soluzioni di compromesso tra Lavoratori e imprenditori, tali da unire rilancio produttivo e tutela delle persone. I segnali? La valorizzazione della contrattazione decentrata – aziendale e territoriale – e la sempre più consistente inclusione di misure di welfare negli accordi.

La previdenza complementare ha inoltre accompagnato e caratterizzato il processo riformatore del sistema pensionistico italiano degli ultimi vent’anni. A fianco del sistema pubblico obbligatorio (primo pilastro), abbiamo quello categoriale-mutualistico (secondo) e quello individuale privatistico (terzo).

In crescita risultano inoltre le società di mutuo soccorso gemmate dalle banche di credito cooperativo. Con le risorse gestite i fondi sanitari integrativi offrono prestazioni di tipo: complementare, già garantite dal Ssn, con forme di copayment (ticket e franchigie), o di rimborso diarie per ospedalizzazione o malattia; supplementare, non garantite dal Ssn, quali le spese odontoiatriche, oculistiche, etc.; sostitutive, erogate dal fondo attraverso convenzioni con produttori, già garantite dal Ssn ma rese così più facilmente fruibili ai propri soci (leggi: liste di attesa, scelta del professionista o delle strutture, orari di accesso, etc). Le forme giuridiche assunte sono non profit (casse sanitarie aziendali, fondi sanitari negoziali nonché società di mutuo soccorso), ovvero società di capitali privati (nel caso dei fondi dei fondi, third party administrator e società assicurative) o a totale controllo pubblico (come Pensplan in Trentino Alto Adige). A seconda del tipo di ente, cambiano ovviamente le forme di governance e gli attori deputati alla funzione di indirizzo e controllo. I modelli gestionali, inoltre, dipendono molto dalle dimensioni, dalla storia e dal tipo di attività svolte (Cavazza e De Pietro, 2012), con una dinamicità interna ai singoli attori che mette in luce strategie di impresa alquanto diversificate: processi associativi tra mutue (Cassola, 2014); spin off che permettono di superare l’alternativa fondo chiuso e fondo aperto (per esempio, Fasi e Fasi open); diversificazioni di prodotto compatibili con regimi fiscali diversi a seconda che i target siano singoli associati o aziende (per esempio, Campa) (Testa, 2008); affidamento a third party administrator della gestione amministrativa (per esempio, Previmedical, Unisalute) insieme o meno all’individuazione di broker (per esempio, Assidim, Rbm salute e Munich Health) per la copertura parziale o totale di una parte o di tutti i rischi garantiti.

 

Valentina Bombardieri

Addetta Stampa Uilca

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